Prevenzione DGA, E.Cangianelli (EGP-FIPE): “No a slogan, coinvolgere operatori”
- DGA/GAP Rassegna Stampa
- 18 Settembre 2021
(Da Jamma.it)
Prevenzione e gioco d’azzardo patologico: una materia complessa e spesso affrontata in modo superficiale nella regolazione. Così Emmanuele Cangianelli, presidente di EGP-FIPE, nel corso di un Webinar dedicato al tema organizzato da AssoConFam, associazione di consumatori e famiglie con la collaborazione scientifica della Associazione Le Metamorfosi aps.
“La visibilità del gioco che si è raggiunta in questi ultimi 15/20 anni è solo in parte responsabile di un aumento del Disturbo da Gioco. Lo dicono le ricerche sui giocatori problematici, oltre al buon senso. La ampia regolamentazione del gioco è sicuramente strumentale anche alla più ampia prevenzione delle dipendenze; la letteratura scientifica ci spiega come raramente ci siano dipendenze solo dal gioco in denaro, ma siano frutto di cause esterne, indipendenti dal volume di offerta. È stato messo in piedi da molti anni un sistema di offerta regolamentata in cui soggetti e servizi sono sottoposti a precise regole, anzi, potremmo dire – come in altri settori – ci sono anche troppe norme ed è difficile applicarle per chi non le segue da molti anni. Quando queste molte norme si mescolano con sensibilità e ricerca di visibilità politiche, possono portare a distorsioni. Ci sono norme proposte come strumenti di supporto ai giocatori patologici perfino controproducenti, come la riduzione delle percentuali di restituzione in vincite (il payout), che è andato scendendo in questi anni a favore delle entrate dell’Erario, non certo degli operatori, a scapito dei giocatori e del prezzo dell’intrattenimento: non è certo qualcosa che aiuta i giocatori, in particolare quelli in condizioni di dipendenza”.
“Il 2020 è stato un anno particolare, nonostante sia salito sensibilmente il giocato online, il numero dei giocatori del retail non è variato molto rispetto a quello certificato nel 2018 dall’importante studio dell’Istituto Superiore di Sanità. Il 90% dei giocatori gioca nel retail, che poi è il segmento maggiormente colpito dalla sospensione delle attività per l’emergenza pandemia. Se analizziamo i dati del primo semestre 2021 – quando solo parte delle attività sono state sospese – vediamo che la spesa si è spostata sì sull’online, ma anche su quei giochi, ad alta rotazione, che erano disponibili”.
Nel corso dell’incontro si è parlato anche di rapporti tra imprese e mondo bancario. “Purtroppo quello tra mondo bancario e imprese del comparto gioco non è un buon rapporto: questo perché le severe procedure di antiriciclaggio per le imprese del gioco comportano oneri gravosi anche per le banche che li assistono, non riuscendo a risolvere questa burocrazia con scambi di dati tra sistema pubblico e bancario, che costituirebbero perfino un ulteriore spazio di vigilanza.”.
Ma cosa fa il settore per prevenire i fenomeni di gioco patologico? “Da tempo i concessionari ed i grandi operatori di filiera investono molto in questo campo; qui sta una delle essenziali differenze con il mondo illegale, che non è certo scomparso, come si è visto nei lockdown” ha spiegato Cangianelli. “Le soluzioni di sistema sono primariamente nella informazione e nel contatto con i giocatori problematici, possibile, anzi da implementare, attraverso le reti regolamentate. Il registro di autoesclusione è uno strumento che andrebbe scuramente studiato meglio nel nostro Paese; questo ci ricorda che uno dei limiti che vediamo come imprese è l’assenza di studi specifici sugli strumenti di prevenzione calati sulla realtà italiana; in troppi casi, vediamo le questioni regionali, si sperimenta nella realtà senza aver studiato l’impatto, l’efficacia per gli scopi voluti della regolazione. Una delle conseguenze della frequente esclusione dei concessionari e dei gestori dei giochi dalla ricerca di certe soluzioni.
Senza il coinvolgimento delle imprese capaci di essere socialmente responsabili, senza ricerche applicative che dimostrino cosa funziona anche nella realtà, ho paura che passeranno altri anni senza andare al punto. Il divieto di pubblicità, per esempio, è stato troppo sbandierato come una soluzione; in realtà servirebbe una più forte comunicazione istituzionale sugli strumenti e le reti di supporto, oltre che naturalmente sulle differenze tra offerta regolamentata ed illegale. Basta con gli slogan, è necessario nell’interesse dei soggetti più fragili cambiare il modo di fare ricerca e progettazione delle norme di settore” ha concluso Cangianelli.